La tecnologia, oltre a cambiare i processi e le relazioni nel modo del lavoro sta cambiando anche i paradigmi della leadership?
Ma le competenze che saranno richieste ai nuovi Leader d’azienda potrebbero essere le stesse di oggi?
Ciclicamente, nei momenti attraversati da gradi trasformazioni, gli esperti di organizzazione tornano su alcune categorie astratte per verificare l’attualità delle teorie tradizionali e valutare se sia opportuno proporne di nuove. E’ il caso del concetto della Leadership, intorno alla quale, collegata al fenomeno della digital transformation, ci si chiede se il contenuto e la modalità di espressione debbano davvero cambiare nel contesto odierno caratterizzato da un alto tasso di incertezza.
Con l’acronimo VUCA (volatility, uncertanity, complexity, ambiguity), si cerca di descrivere l’attuale contesto variabile in cui le aziende sono costrette a muoversi, e allo stesso tempo costituisce spesso l’alibi per considerare i tradizionali principi organizzativi come obsoleti.
Se tutti concordano sul fatto che, in ragione delle spinte di cambiamento originate dalla digitalizzazione dei processi (operativi e decisionali), come pure dalla creazione di modelli di business “digital oriented”, il concetto stesso di Leadership debba cambiare, pochi si sono spinti a delineare una completa e nuova teoria sulla Leadership.
Siamo un po’ tutti figli della dottrina organizzativa classica, i cui esperti per circa 60 anni ci hanno proposto una pluralità di modelli, teorie, approcci, con lo scopo di stabilire “cosa” sia la Leadership e “chi” sia il Leader in un’organizzazione.
Stiamo provando a fare lo stesso anche oggi, ma non ci riusciamo. E il motivo (o uno dei motivi) di tale difficoltà, risiede nel fatto che nel passato si ragionava con davanti agli occhi modelli organizzativi, certamente diversi e variabili, ma non incerti. Si aveva quindi una certa idea delle strutture organizzative e dei processi di lavoro in cui si manifestava la leadership, così da risultare facile descrivere competenze, comportamenti, orientamenti del Leader.
Ma ora l’incertezza dello scenario originata dal progresso tecnologico (di cui si conosce la velocità di sviluppo ma non gli esiti finali), è ancora più difficile da interpretare. Sembra non esistere un modello scientifico predittivo delle conseguenze della digital transformation, sui modelli di business, sulle organizzazioni, sulle relazioni umane. La tecnologia ha creato il cambiamento, ma gli uomini decideranno fino a quale punto portarlo.
Ciononostante non è possibile fare tabula rasa delle elaborazioni passate. È certamente vero che le strutture organizzative vadano verso un appiattimento e la riduzione dei livelli gerarchici. È vero che si enfatizzano gli aspetti di cooperazione, di trasmissione orizzontale della conoscenza, di lavoro per gruppi, della gestione per processi trasversali: qui infatti ci conducono i modelli organizzativi più nuovi, quali holacracy, aequacy, scrum, tribes.
È però altrettanto vero che tali modelli (attenzione: non tutti così veramente innovativi…) implicano l’esercizio delle cosiddette soft skills che fanno capo alla dimensione generale della flessibilità cognitiva, considerata da tutti, come risorsa essenziale per porre il Leader (e non solo) in grado di trovare le soluzioni giuste che al momento dato saranno necessarie. E quindi, si dice, il Leader dovrà avere flessibilità mentale, pensiero critico, dovrà rifuggire dalle soluzioni passate, dimostrare intelligenza emotiva, negoziazione, elevata capacità di gestione delle relazioni con le risorse, ecc. È tutto così nuovo?
Comunque, il nuovo Leader “digitale” abbandonerà le tradizionali leve di gestione (pianificazione, parcellizzazione del lavoro, assegnazione compiti & controllo, ecc.), ma comunicherà in modo continuo e destrutturato, sarà in grado di influenzare i vertici aziendali per infondere sicurezza ai propri collaboratori, si dedicherà a guidare e non solo a decidere, anche quando non avrà chiara la rotta.
In pratica eserciterà, in prevalenza, competenze e attitudini diverse dal passato, ma certamente non così sconosciute: non si tratta certo di requisiti manageriali mai studiati. La novità è che ora diventano critici.
Abbiamo detto come sarà e cosa avrà il Leader futuro. Dobbiamo anche dire cosa non sarà o cosa perderà.
A nostro modo di vedere l’elemento fondamentale dei modelli organizzativi che si profilano è rappresentato dal fatto che essi determineranno il congedo della Leadership dal Potere, ovvero dal possesso stabile del Potere. La predilezione per un’organizzazione del lavoro per processi, per progetti a tempo, declinata attraverso gruppi, sempre diversi ed eterogenei, che si creano e si dissolvono a seconda delle necessità, riconfigurerà i ruoli e le posizioni di potere acquisite, laddove il tradizionale Leader (dotato di Potere in quanto emanazione dalla posizione gerarchica) dovrà accettare di non essere più sempre il soggetto che decide, ma a volte di essere un semplice membro di gruppi o follower o contributore “occasionale”.
Se il “nuovo” Leader è certamente atteso ad una ridiscussione completa dei criteri di ripartizione del lavoro, dei ruoli, della impostazione delle relazioni (e anche dei sistemi di controllo), dovrà ancor di più ridiscutere sé stesso e la sua posizione in azienda, laddove il suo valore dipenderà dalla misura in cui il suo know-how possa incidere sulla efficacia del risultato finale.
Di più facile applicazione questo nuovo paradigma per il mondo anglosassone, là dove la disciplina del lavoro, la definizione dei ruoli e delle responsabilità sono per lo più legate ai vincoli che le parti private hanno contrattualmente condiviso.
Più lenta e sofferta potrebbe essere invece la trasformazione in ambienti (come quello italiano) in cui ruoli, poteri e attribuzioni derivano dalla disciplina collettiva cogente e non derogabile, la quale, ormai lontana dalla reale organizzazione del lavoro, appare sempre di più come mera dispensatrice di status, piuttosto che autentico strumento di valorizzazione delle competenze.
Per questo motivo assumono carattere strategico gli interventi di sviluppo delle risorse, tesi a infondere nei manager la consapevolezza della loro nuova dimensione manageriale, spingendoli oltre le rigidità del pensiero e delle strutture.
Marco Crippa
Senior Consultant
Human Value